lunedì 13 giugno 2016

Se i nostri sogni sono sogni

Ho visto che viene letto frequentemente questo mio post del 23 maggio 2014. Lo riporto.

Nel dualismo coscienza/inconscio, scrive Galimberti, "... la psicoanalisi di Freud sembra ricalcare alla lettera la filosofia della natura di Schopenhauer."
Schopenhauer aveva capito che la nostra vita psichica inconscia, quella della nostra "Volontà di vivere" di cui siamo strumento, da cui siamo vissuti mentre pensiamo che sia la nostra coscienza a guidare la nostra vita, è fuori del tempo e dello spazio con cui ci rappresentiamo il mondo e il nostro andare in esso, non rispetta il principio di non contraddizione e quello di causalità - insomma, a livelli di cui non abbiamo consapevolezza, non abbiamo una storia e non siamo individuabili. Laggiù, è come nei nostri sogni, scrive Schopenhauer, possiamo passare da un tempo all'altro, da un luogo all'altro, da una identità all'altra - essere figli dei nostri figli.
"Il sogno - scrive Schopenhauer - è simile alla follia." ed è "... lo strumento di cui si serve la nostra onniscienza sognante per far giungere possibilmente qualcosa all'ignoranza della nostra veglia."
Come Schopenhauer, Freud pensa che "Il sogno è una psicosi, con tutte le sue assurdità, le formazioni deliranti, le illusioni sensoriali proprie delle psicosi."

(U. Galimberti, La casa di Psiche, Feltrinelli)
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L'affermazione che il sogno è come la follia, o che in ognuno di noi c'è la follia, mi sembra un errore non da poco.  Non è vero che il sogno è come la follia, o che in ciascuno di noi c'è la follia.


Follia è realtà di relazione, di interazione, tra i nostri processi consci con quelli inconsci. Se l'equilibrio tra questi processi psichici salta, allora emerge la follia, allora l'inconscio non è più inconscio e il sogno non è più sogno.
Se io sogno da sveglio, e penso, dico, mi comporto come se fossi un bambino piccolo, come se fossi figlio di mio figlio e sono certo di questo fatto impossibile, fuori del tempo, dello spazio e della causalità - se sono certo che non è un come se ma è realtà fisica, allora sono impazzito, allora è follia.


Ma se io sto dormendo, e sogno questa realtà fuori di tempo spazio causalità, è sogno, non è follia. O anche, se sto sveglio e dico che mi sento figlio di mio figlio, che è come se lo fossi per certi aspetti, ma so bene che sono suo padre, è avvertimento di aspetti irrazionali della vita, non è follia.
L'insieme che io sono, di razionalità e irrazionalità, mantiene una integrazione, un equilibrio, e fin quando vivono in me questa integrazione e questo equilibrio tutto ciò che è mio, compresi i sogni e i  processi inconsci, non è follia.
Di più: non è equilibrio precario, per la maggior parte di noi. 

Ho visto soffrire acutamente e a lungo persone che, come la maggior parte di noi, non avevano la possibilità di impazzire, non avevano la possibilità della disintegrazione, della scissione, della schizofrenia.

E lo schizofrenico, il folle, non ha niente a che vedere con il bambino o con il selvaggio, come ogni tanto si legge o si sente dire erroneamente: quello del folle è tutt'altro essere, tutt'altro equilibrio rispetto a quello da cui nascono i nostri sogni, le nostre creazioni artistiche quotidiane o la bellezza unica, un po' selvaggia, vitalmente sorprendente, delle nostre individualità (il bambino e il selvaggio che sono in noi).


Dire che "il sogno è una psicosi"  equivale a dire che l'equilibrio tra coscienza e inconscio è la mancanza di questo equilibrio. Questo dire è folle, o forse più precisamente stupido, saccentemente erroneo - non il sogno di chi dorme.


Altra cosa è, come fa Schopenhauer, dire che  il sogno è "... lo strumento di cui si serve la nostra onniscienza sognante per far giungere possibilmente qualcosa all'ignoranza della nostra veglia."
La razionalità ha bisogno della "onniscienza sognante" quanto il sogno ha bisogno della capacità di distinguere nella luce diurna.

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