domenica 14 febbraio 2016

Progetto e destino


In una rielaborazione di un suo articolo sul Sole-24 Ore di tanti anni fa, Galimberti scrive che il dolore psichico come "errore della mente" (Eschilo) può insorgere essenzialmente in due modi:

- quando "ogni progetto che formuliamo su di noi è costretto a fare i conti con il fondo immodificabile di noi" da cui dovrebbe nascere e crescere la nostra identità, per cui accade che "il primo errore della mente è il tentativo di diventare ciò che non si è", "il progetto ha dimenticato il destino e il destino si vendica sul progetto consegnandolo al sogno"

- quando non riusciamo a "diventare ciò che siamo", e questo avviene - così si può leggere nel testo - perché non "avvertiamo" chi siamo, o "resistiamo" a far vivere chi siamo anche se una qualche consapevolezza ne abbiamo. "Questa riserva di noi, inesplorata e mai vissuta, è racchiusa in quel che fondamentalmente siamo e non viviamo, un destino sconosciuto e non vissuto che potrebbe fiorire se accettassimo di divenire ciò che in fondo siamo".

Quindi, riducendo ai minimi termini e fondendo le due possibilità di "errore della mente", possiamo trovarci di fatto in un progetto di vita che non è espressione del nostro destino, o perché testardamente e ciecamente perseguiamo un progetto di vita che con il nostro destino ha poco a che fare (diventare ciò che non siamo), o perché, per un motivo o per l'altro, non riusciamo a realizzare il nostro destino (non diventare ciò che siamo). Il risultato mi sembra lo stesso, un divario doloroso tra destino e progetto.

Ma quando le cose stanno così, quando si soffre per questi "errori della mente" e prendiamo atto della nostra sofferenza, possiamo fare qualcosa, possiamo prenderci cura di noi?
Ad essere ancora più precisi, tanto per cominciare: il progetto lo posso conoscere abbastanza facilmente, sta nelle cose che ho fatto e faccio, sta nel modo in cui mi metto in rapporto con gli altri, sta nella mia storia manifesta. Ma il destino: è conoscibile questo destino, il cui divario dal progetto di vita in atto provocherebbe sofferenza?

Sì, volendo conoscerlo. Galimberti indica: sarebbe contenuto, il nostro destino non vissuto e occultato, nella "riserva di possibilità inespresse, di parole taciute, di sentimenti contratti, di sogni dimenticati, di futuri chiusi, di passati incombenti" che forse già un poco sappiamo di noi, e che possiamo comunque - volendo - conoscere meglio, conoscere.

(U. Galimberti, Paesaggi dell'anima, Cura e verità)

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