lunedì 8 giugno 2015

Io non credo di conoscerlo bene

"Io non credo di conoscerlo bene e neppure posso affermare di non conoscerlo"

"Chi di noi sa questo lo conosce. Non lo conosce invece chi dice: - Non lo conosco. Esso è conosciuto da chi non lo concepisce con il pensiero: chi lo concepisce con il pensiero non lo conosce. Ciò che è ignoto a coloro che usano la conoscenza distintiva è conosciuto da coloro che di essa non si servono."


Le precisazioni sono ovvie: chi pensa soltanto con il pensiero "distintivo", verbale, logico, non conosce la realtà che è al di fuori di questo tipo di pensiero o che viene congelata, frammentata, perduta con il fatto stesso di essere inclusa in questo tipo di pensiero.
Ciò che è ignoto a chi usa soltanto la conoscenza "distintiva" può essere invece conosciuto da chi oltre questa conoscenza usa anche un altro tipo di conoscenza. Infatti:

"Esso può essere conosciuto quando sia stato concepito per intuizione: allora si raggiunge l'immortalità. Con lo sprofondarsi in se stessi si acquista la capacità di conoscere, e con la conoscenza s'acquista l'immortalità."

Chiara l'indicazione dell'intuizione come forma di pensiero che permette la conoscenza di realtà che sfuggono al pensiero verbale-razionale-logico-positivista o vengono necessariamente alterate da esso (forse la parola poetica è l'unica che può parlarne senza disintegrarle, ma non è detto).
Meno immediatamente accettabile - per me e credo non solo - è il raggiungimento dell'immortalità grazie all'intuizione: intuisco che mi piacerebbe, ma difetto in fede cieca, e se la fede è solo cieca, allora difetto assai in fede.

Ma credo di non esserne del tutto privo, e cerco qui un luogo dove indirizzarla, la mia fede a occhi aperti, e lo trovo in una dimensione che considero possibile nella veglia mediante l'immersione nel qui ed ora libero da memorie e desideri, e probabile nel sonno e anche nel sogno, là dove una specie di immortalità la conosco perché la ho incontrata più volte in persone e animali vivi che nella realtà della veglia sono invece morti da tempo - sono morti da tempo per il pensiero verbale-razionale-logico-positivista, ma non per il pensiero puramente intuitivo, che può essere assimilabile a quello del sogno?

Lo vedo, lo so, di essere mortale, e provo molto dolore per l'assenza irrecuperabile di umani e animali che ho amato. Assenza irrecuperabile: non credo in una continuazione della vita individuale, e io vorrei che proprio quegli individui non fossero morti qui ed ora. Questo pensiero, questo modo di sentire, pensare e sapere della realtà, lo considero prezioso, anzi: necessario. Inevitabile, e necessario per sapere della realtà.

Capisco tuttavia che la mia stessa vita individuale mi è possibile perché in me vive un altro tipo di pensiero, un altro modo di sapere della realtà, e che in questo altro modo di conoscenza l'immortalità non è soltanto l'effetto e il nome di una illusoria onnipotenza delirante. Forse, è più una atemporalità che una immortalità, ma poiché è la condizione di atemporalità in un vivente, questo vivente in essa condizione atemporale non ha inizio e non ha fine, soltanto scorre.

(solo il corsivo: Kena Upanishad, cap. 1 par. 1, Upanishad vediche, Tea 1988, p 286)

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