domenica 17 maggio 2015

Ricchezza e immortalità

Il sapiente che ha fin qui risposto alle domande del re, nella quinta "lettura" di questa Upanishad parla con una delle sue due mogli prima di lasciarle tutte e due per vivere la vita di monaco mendicante. Vuole sistemare la situazione delle due mogli, e s'intende in termini economici, poiché la moglie si ritrae dicendo: e che, se anche tutta la terra con le sue ricchezze mi toccasse, io raggiungerei forse l'immortalità?
Il sapiente - di cui ho finora evitato di scrivere il nome complicato ma a forza di averlo sotto il naso mi ci sono quasi abituato seppur a volo di sguardo: Yajnavalkya, che leggo selvaggiamente iaginavalchìa - dunque, Iaginavalchìa, il sapiente, come c'è da aspettarsi, risponde: e no, la tua vita sarebbe "... come quella dei ricchi, ma non dalla ricchezza si può sperare immortalità.", che si può anche leggere: l'immortalità si può sperare ma non viene dalla ricchezza, anche se tu, toccata dalle ricchezze di tutta la terra, vivresti riccamente.

Ci sarebbe da dire qualcosa su quel "come quella dei ricchi", ma mi urge una domanda. La quale domanda s'intende subito, credo: si sperano le cose possibili, quindi seppur non dalla ricchezza deriva l'immortalità, essa è sperabile, cioè possibile? Insomma, vorrei avere l'opportunità che il sapiente ha dato al re, di fargli libere domande, e la mia sarebbe questa: come si può ottenere l'immortalità? Sono sicuro che diventerei ricco, se conoscessi la risposta.

Il sapiente, comunque, tornando alla lettura dell'Upanishad, apprezza l'atteggiamento mentale della moglie - non credo che apprezzerebbe il mio, tendente ad avere sia immortalità che ricchezza, e in mancanza di ricchezza almeno l'immortalità, ma mi chiedo ingenuamente anche: se faccio una vita in miseria, ottenendo l'immortalità vivrei eternamente in miseria? - e si dedica a svelarle qualche verità nascosta della vita.

Dice: "Non a causa dell'amore per il marito è caro il marito, ma a causa dell'amore di sé è caro il marito. Non a causa dell'amore per la moglie è cara la moglie, ma a causa dell'amore di sé è cara la moglie. Non a causa dell'amore per i figli sono cari i figli, ma a causa dell'amore di sé sono cari i figli. Non a causa dell'amore per le ricchezze sono care le ricchezze, ma a causa dell'amore di sé sono care le ricchezze."

Già lo so, caro Iaginavalchìa di sorprendente antichissima sapienza: non stai parlando di egoismo, né di una forma seppur accettabile di narcisimo. Ci scommetto, stai dicendo: solo se tu ami la vita che è in te puoi amare la vita che è negli altri; solo se tu ami l'universo che è in te tu puoi amare l'universo fuori di te. Stai dicendo questo e anche qualcosa in più, più difficile da afferrare - giusto, comunque, anche se, scendendo un poco di livello percettivo per non essere bruciato dalla luce, penso che non è una via a senso unico: l'amore che ricevi dagli altri ha il suo bel ruolo, di reciprocità, per non parlare di quello che è pensabile accada tra madre e bambino appena nato o da poco nato. La madre è cara al bambino certamente anche per l'amore che riceve da lei, da cui probabilmente nasce l'amor di sé che gli permetterà d'amare l'universo. E, scusa se sbriciolo, qualcosa mi sfugge in quell'ultima tua affermazione sulle ricchezze: non ci può essere reciprocità tra me e delle monete d'oro, per cui è chiaro che le amo per amore di me stesso, e degli altri che amo amando me stesso. Che vuoi dire? Che anche i sassi, li amo solo se amo me stesso?

(Brhadaranyaka Upanishad, 4° cap. 5° par., Upanishad vediche, Tea 1988, p. 81)

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