giovedì 22 gennaio 2015

Locke e la mela

"Se tutto ciò che io esperisco e tutto ciò che posso esperire sono stati mentali, che garanzia ho che esista qualcosa di diverso dagli stati mentali? E inoltre, che garanzia ho che esistano altri stati mentali oltre al mio? E poiché non posso avere accesso diretto agli stati mentali altrui, come faccio a sapere che esistono altre menti oltre alla mia? 
Sono tutte domande su cui ci si interroga, si indaga da centinaia di anni. 

Locke, nel suo
Saggio sull'intelletto umano tende a privilegiare il senso comune rispetto alla logica deduttiva, e le conclusioni ultime cui approda gli appaiono decisamente più provvisorie, fallibili e meno autoevidenti di quelle di Cartesio.
Locke concordava con Cartesio che l'uomo non può dubitare della realtà dei suoi dati di coscienza, qualunque cosa essi siano, e che perciò almeno di questo egli abbia una conoscenza diretta e indubitabile, e concordava con Cartesio che i dati della nostra coscienza sono tali da indurci a considerarci soggetti in un mondo di oggetti che esistono al di fuori di noi nelle dimensioni dello spazio e del tempo. Ma Locke riteneva che si potesse dimostrare non solo, come aveva fatto Cartesio, che i sensi a volte ci ingannano sulla vera natura fisica degli oggetti, ma che per taluni aspetti di estrema importanza essi ci ingannano sistematicamente, cosa che Cartesio aveva ritenuto incompatibile con la benevolenza di un Dio onnipotente.


Locke sosteneva, per esempio, che gli oggetti non possono possedere caratteristiche quali il colore, il suono, il gusto e l'odorato indipendentemente dalla percezione del soggetto. 

Di queste qualità, che a noi sembrano intrinseche agli oggetti stessi, ma che in realtà si manifestano soltanto nell'interazione fra un oggetto percepito e un soggetto percipiente, esiste un'ampia gamma.  Locke le chiama «qualità secondarie», perché non possono caratterizzare l'oggetto in sé, indipendentemente dall' esperienza che ne abbiamo.  Definì invece «primarie» le qualità che a suo dire un oggetto possiede in sé, indipendentemente dall'essere percepito da un soggetto. Le scienze fisiche si occupano delle qualità primarie degli oggetti, tutte misurabili o classificabili oggettivamente - la loro collocazione e i loro movimenti nello spazio e nel tempo, le dimensioni, il peso, la massa, la costituzione materiale e così via. 

Uno scettico potrebbe obiettare:
«Lei, Locke, afferma che gli oggetti sono dotati di tutte queste qualità, primarie e secondarie, ma afferma anche che noi possiamo percepire soltanto le qualità dell'oggetto.  All'oggetto caratterizzato da queste qualità, alla sostanza cui esse ineriscono, alla cosa sottostante insomma, noi non possiamo accedere. È, come dice lei, «un qualcosa che non so che cosa sia». Ma se si ammette che l'oggetto non può mai essere percepito, come facciamo a sapere che esiste? Non si contravviene al principio fondamentale dell'empirismo affermandone l'esistenza?».

A questa obiezione credo che Locke avrebbe risposto più o meno così:
«Dell'esistenza delle qualità noi abbiamo un'esperienza diretta e indubitabile. Non è credibile che esse siano soltanto astrazioni esistenti  autonomamente, sospese a mezz' aria, per così dire. Ancora meno credibile appare che esse fluttuino liberamente nelle combinazioni costanti che percepiamo. Per esempio ogni volta che compio l'azione che chiamo "mangiare una mela", ho sempre un insieme compatto di esperienze multiple e simultanee, appartenenti alla stessa ristretta gamma per dimensione, forma, colore, consistenza, gusto, odore, umidità, sensazioni tattili e così via. Non vorrà sostenere, spero, che intorno a noi galleggino milioni di questi grappoli di sensazioni in combinazioni fra loro accidentali eppure permanenti, alle quali noi diamo il nome illusorio di "mela"? Né vorrà sostenere che questo valga per tutte le innumerevoli altre cose del mondo che noi consideriamo oggetti fisici? Nessuno può credere una cosa simile. Deve per forza esserci un elemento aggregante, cui ineriscono le qualità che noi percepiamo, una sostanza che costituisce il sostrato di ciascun oggetto fisico»."

(Bryan Magee, L'arte di stupirsi)

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