lunedì 24 novembre 2014

L'ottimismo umanista di Schopenhauer

"Per quanto fitto sia il velo che avvolge l'animo del malvagio, per quanto sia chiusa la sua prigionia nell'individualità separata che gli fa ritenere la propria persona come distinta assolutamente e separata dagli altri da un ampio abisso, si agita tuttavia nell'intimo della sua coscienza l'occulta sensazione che un siffatto ordine di cose sia nondimeno nient'altro che fenomeno, e che in sé le cose stiano diversamente. 

Anche se tempo e spazio lo dividono dagli altri individui e dai tormenti inenarrabili che essi soffrono, anzi per cagion sua soffrono, anche se vede costoro come affatto stranieri a lui medesimo, tuttavia è l'unica volontà di vivere che in essi tutti si palesa e che, se stessa disconoscendo, contro sé volge le proprie armi, e mentre cerca per uno un maggiore benessere infligge a un altro il maggior dolore. E l'uomo malvagio è per l'appunto codesta volontà tutta intera, sì che viene a essere non solo il tormentatore, ma anche il tormentato, dal cui dolore egli è separato e si crede libero solo mediante un sogno illusorio che ha per forma il tempo e lo spazio.

Ma il sogno svanisce, ed egli, per forza della verità, deve il piacere pagare col dolore: soltanto per la conoscenza individuale, soltanto per la individualità separata nel tempo e nello spazio sono distinte possibilità e realtà, lontananza e vicinanza. È questa la verità che miticamente viene espressa dalla dottrina della migrazione delle anime, ma la sua espressione più pura la ha  in quell'angoscia oscuramente sentita, eppure inconsolabile, che si chiama rimorso.


Inoltre, l'interno orrore del malvagio per la sua propria azione, orrore che egli cerca di celare a se stesso, contiene, oltre quel vago sentimento della pura apparenza della distinzione che mette tra lui e gli altri, contiene, dico, in pari tempo anche la cognizione della violenza della propria volontà, dell'impeto con cui questa ha ghermito la vita, e l'ha succhiata. Questa vita di cui egli vede la faccia orrenda nell'angoscia di chi è da se stesso oppresso: egli sente fino a qual punto sia in potere della vita, e quindi anche degli innumerevoli dolori che a questa sono connaturati, avendo essa infinito tempo e infinito spazio per cancellare il divario tra possibilità e realtà, e tutti i mali da lui per ora soltanto conosciuti convertire in mali provati."


(Schopenhauer, Il mondo)

Nessun commento:

Posta un commento