venerdì 14 novembre 2014

L'illusione ottimistica di Schopenhauer

"La prima e semplice affermazione della volontà di vivere è l'affermazione del proprio corpo, usando a ciò tutte le forze di esso. Ad essa si collega direttamente la soddisfazione dello stimolo sessuale; anzi, questa appartiene a quella, in quanto i genitali al corpo appartengono. 

Ora, mentre la volontà presenta quell'autoaffermazione del proprio corpo in un numero infinito d'individui coesistenti, a causa dell'egoismo connaturato in ciascuno, può molto facilmente andar oltre codesta affermazione in un individuo, fino alla negazione della stessa volontà di vivere manifestantesi in un altro individuo.

La volontà del primo irrompe nei confini dell'altrui affermazione di volontà, sia in quanto l'individuo distrugge o ferisce l'altrui corpo, sia in quanto costringe le forze dell'altrui corpo a servire la propria volontà, invece della volontà che in quello stesso altrui corpo si palesa; come, per esempio, quando sottrae le forze di codesto corpo alla altrui volontà di vivere, e con ciò accresce la forza a servizio della propria volontà oltre i confini naturali di questa, affermando la propria volontà oltre il suo proprio corpo mediante negazione della volontà manifestantesi nel corpo di un altro.

Questo irrompere nei confini dell'altrui affermazione di volontà fu conosciuto dai più remoti tempi, e il suo concetto espresso con la parola ingiustizia. Infatti,  le due parti interessate riconoscono istantaneamente la cosa; non già, invero, come l'abbiamo qui esposta in astrazione, bensì come sentimento. 


Chi subisce l'ingiustizia sente l'irrompere nella sfera dell'affermazione del suo proprio corpo da parte di un individuo estraneo, sotto forma d'un dolore diretto e morale, affatto distinto e diverso dal male fisico, provato in pari tempo per l'azione stessa, o dal rammarico del danno.
D'altra parte, a quegli che commette l'ingiustizia si affaccia la cognizione ch'egli è, in sé, la volontà medesima, la quale anche in quell'altro corpo si manifesta e si afferma con tale veemenza da farsi negazione della volontà stessa nell'altro, oltrepassando i confini del proprio corpo e delle sue forze; quindi egli, considerato come volontà in sé, combatte per l'appunto con la sua veemenza contro se medesimo, se medesimo dilania; anche a lui s'affaccia questa cognizione istantaneamente, non già in astratto, ma come oscuro sentimento: e questo è chiamato rimorso, ossia, più precisamente nel caso sopraddetto, sentimento della commessa ingiustizia."


(Schopenhauer, Il mondo)
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E questo pensare che chi commette ingiustizia abbia sempre la percezione di ciò che fa, senta sempre che è una ingiustizia e provi sempre un "oscuro sentimento di rimorso, sentimento della commessa ingiustizia"  lo considero, nel migliore dei casi, l'ottimismo di Schopenhauer.  Può essere, questa estensione a tutti gli esseri umani di un assetto psichico che non è di tutti, una conseguenza logica del suo pensare che, sempre in tutti, agisca  la predisposizione naturale umana a identificarsi con immediatezza, senza pensiero razionale, con l'altrui sofferenza o l'altrui gioia, anche dei "fratelli animali", predisposizione naturale umana che lui così definisce e chiama "compassione", e su di essa basa l'unica vera morale possibile all'uomo, esente da orientamenti e obblighi esterni che la falsificherebbero. Una illusione strana, in un pensatore così repulsivo verso le illusioni.
Se può essere corrispondente alla realtà umana originaria pensare ad un assetto istintuale non distruttivo, di stretta integrazione tra istinti di autoconservazione e desiderio di socialità e di unione sessuale, è anche palese che questo teoricamente possibile assetto psichico viene normalmente perso fin dall'infanzia in società in cui sia prevalente il dominio materiale e ideologico di pochi uomini su tutti gli altri. Una evidenza che Schopenhauer non nega, ma in essa inserisce questa illusoria certezza di un sempre presente "sentimento della commessa ingiustizia" poiché nel dilaniare l'altro ogni uomo dilania se stesso.

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