giovedì 16 ottobre 2014

Che tragedia!

"Il rappresentare una grande sventura è la sola cosa essenziale alla tragedia. Le vie per le quali la sventura può essere introdotta dal poeta, sono di tre specie. 

Può accadere per la straordinaria perfidia d'un carattere, il quale diventa causa della sventura; oppure può accadere per un cieco destino, ossia caso ed errore; oppure la sventura può esser causata in fine dalla semplice situazione rispettiva delle persone, dai loro rapporti, sì che non v'ha bisogno né d'un mostruoso errore o d'un caso inaudito, né d'un carattere che tocchi i confini umani del male: sono caratteri come tanti, messi in circostanze che occorrono spesso, e sono posti di fronte in modo che la situazione li costringe a farsi l'un l'altro, sapendo e vedendo, il più gran male, senza che in ciò il torto sia tutto da una parte sola.

Quest'ultima specie sembra a me di molto preferibile alle altre due: ci fa apparir la più grande delle sventure non come un'eccezione, non come effetto di circostanze rare o di mostruosi caratteri, ma come alcunché venuto facilmente e spontaneamente, quasi per naturale necessità, dall'azione e dai caratteri degli uomini; e appunto perciò la rende in terribile modo vicina a noi stessi. 


E se noi nelle altre due specie vediamo il mostruoso destino e l'orrenda malvagità bensì come forze terribili, ma che solo da gran distanza ci minacciano e alle quali possiamo sfuggire, l'ultima invece presenta a noi quelle forze onde felicità e vita son travolte, come fatte di tal natura che anche contro di noi possono aprirsi la via ad ogni istante; e il più gran dolore può venirci da complicazioni la cui essenza può pesare anche sul nostro destino, e da azioni che noi anche saremmo capaci di commettere: allora rabbrividendo ci sentiamo già in mezzo all'inferno."

(Schopenhauer, Il mondo)




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