giovedì 22 maggio 2014

Il grande architetto non parla


"<Tutto ciò che nell'uomo è originario e perciò genuino agisce, come le forze della natura, in modo inconscio. Ciò che è passato attraverso la coscienza è, appunto per ciò, diventato una rappresentazione. Ne discende che la manifestazione di questa coscienza è, in un certo senso, la comunicazione di una rappresentazione. In conformità a ciò tutte le qualità del carattere e dello spirito che reggono alla prova sono  di origine inconscia, e soltanto come tali esse producono un'impressione profonda.>   A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851

(...) Nella rappresentazione si fondono due istanze inconciliabili: la forza della vita, per cui noi siamo, e la visione che noi abbiamo della vita, per cui pensiamo. Il cogito e il sum, che Cartesio aveva collegato con un ergo, si ripropongono, ma non con la chiarezza dell'evidenza, bensì con la drammaticità di un conflitto che viene prima di tutti i conflitti di cui si lamenta il nostro vivere quotidiano. Noi siamo vissuti da una vita che, nella rappresentazione che fa di sé, si mostra incurante delle nostre intenzioni, e al tempo stesso non potremmo vivere se non alimentando giorno dopo giorno propositi e intenzioni che la vita, nel suo cieco e semplice desiderio di vivere, trascura. (...) Freud ha messo in scena questo dramma, il cui testo era già stato descritto dai filosofi che, nel dispiegare la luce diurna della ragione, sapevano da quali tenebre la evocavano e ben si guardavano dal dimenticare la notte."

(U. Galimberti, La casa di Psiche, Feltrinelli)

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La parola è inevitabilmente distanza dall'essere. Lo è anche la sua rappresentazione, il modo in cui ogni cosa del mondo si veste e si presenta: ancor di più il suo nome. Una visione del mondo che ha come affermazione costitutiva: In principio era la parola non dovrebbe ingannare nessuno.


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