martedì 6 agosto 2013

I mori


Il nostro modo di pensare, scrive Schopenhauer, ci porta a definire l'opposizione alla Volontà di vivere come negativa. Cercandone una definizione positiva, la "perfetta negazione della Volontà" è stata chiamata estasi, estraniazione, illuminazione, unione con dio, ma essa è "una condizione che non si può chiamare propriamente conoscenza, poiché non ha più la forma di soggetto e oggetto ed è accessibile soltanto all'esperienza diretta, che non può essere ulteriormente comunicabile."
Noi dobbiamo continuare a pensare a modo nostro, scrive, come abbiamo fatto fin qui ragionando del mondo e della Volontà, "dobbiamo accontentarci della conoscenza negativa, contenti di aver raggiunto l'ultimo paletto di confine con quella positiva".

Dunque, "negazione della Volontà di vivere" - con una precisazione obbligata, oggi: quella di cui parla Schopenhauer non è la negazione a cui si è normalmente portati a pensare quando si sente o si legge questo termine. Con negazione si intende di solito, oggi, quell'atto mentale che ci impedisce di accettare che le cose stanno come stanno, che sono quello che sono, lì davanti a noi o in noi stessi. Tipico è l'atto di negazione quando qualcuno riceve una notizia terribile: no, non è vero, non può essere così, non ci credo - non ci voglio credere. E' stato mentale normalmente passeggero: in realtà si sta già prendendo atto della cosa terribile, sta già arrivando l'ondata di dolore. Se invece la negazione continua e vince, apre la porta ad una follia più o meno evidente, a un qualche delirio più o meno selettivo. Negazione e annullamento sono alla base di tutta la psicopatologia umana.
Altre negazioni sono meno evidenti: per esempio, se le cose non vanno bene e lo si vede ma si fa finta che così non sia. La negazione non è solo un atto mentale personale, a volte è un atto epidemico, di gruppo o anche di massa. Non c'è pensiero, su ciò che non va, non c'è valutazione se sia possibile oppure no cambiare le cose, ed eventualmente cosa e come fare: è un far finta, un evitamento.

Non è di questa negazione che scrive Schopenhauer: l'atto che egli analizza è una opposizione, un rifiuto molto consapevole - l'opposto dell'evitamento, del far finta: anzi, colui che compie quest'atto sta molto attento a non perder di vista il senso reale delle cose.
Perciò, ho preferito usare termini come opposizione, contrasto, rifiuto, a quello di negazione, sempre usato nella traduzione di Giani: forse è l'esatta traduzione del termine usato da Schopenhauer, ma, anche fosse, si capisce bene quello che Schopenhauer sta scrivendo, e certamente non è la negazione che evita la presa visione della realtà.

La "negazione della Volontà" di cui scrive Schopenhauer è atto di conoscenza di segno positivo, e lui così lo intende anche se usa il termine "negazione" - se è questo il termine che usa. Il negativo a cui si riferisce è nell'esito, di questo atto, che per il nostro pensiero risulta essere il non-mondo, il nulla - quello che Buddha chiamava "annullamento della nascita".


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