sabato 20 luglio 2013

Si può sapere perché piangi?


"Quando noi siamo mossi al pianto non per le nostre sofferenze, ma per quelle altrui, ciò accade perché ci trasferiamo vivamente con la fantasia al posto del sofferente, o vediamo anche nel suo destino la sorte dell'intera umanità e quindi, soprattutto, la nostra, e allora, dopo un'ampia deviazione, torniamo sempre a piangere su noi stessi, sentiamo compassione per noi stessi."

Questo, scrive Schopenhauer, vale anche per il pianto per la morte di persone care.

"Non è la propria perdita che il dolente piange: ci si vergognerebbe di simili lacrime egoistiche; egli, al contrario, si vergogna a volte di non piangere. Anzitutto egli piange certamente la sorte del defunto, ma questo avviene anche quando la morte è stata una liberazione desiderabile dopo lunghe, grandi e inguaribili sofferenze. Sostanzialmente, dunque, lo coglie la compassione per la sorte di tutta l'umanità, che è vittima della finitezza, in conseguenza della quale ogni vita, anche solerte e ricca di attività, deve spegnersi e finire nel nulla: in questa sorte dell'umanità, però, egli soprattutto vede la propria."

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)

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