mercoledì 26 giugno 2013

Rimane da sapere se



Insomma, il malvagio prega di non essere messo in situazioni in cui sa bene che agirà la sua malvagità e con ciò gli faranno vedere o rivedere chi è.
Schopenhauer scrive, di seguito, qualcosa che lascia capire quale sarà lo sviluppo del suo pensiero.
Ha già chiarito che  la vita del malvagio va al di là del suo istinto di sopravvivenza fisica, che è volontà debordante che invade lo spazio di vita degli altri, considerati nettamente altri da sé con i quali non ha un destino comune da condividere, considerati come cose e non esseri viventi, oggetti esterni ed estranei da usare per il proprio divertimento o il proprio dominio, tormentabili ed eliminabili se si oppongono.

Ora scrive: "Dalla violenza con cui il malvagio afferma la vita e che gli si manifesta nella sofferenza che egli infligge ad altri esseri viventi, egli misura la distanza a cui si trova, rispetto a lui, la rinuncia e la negazione proprio di quella volontà, sola possibile liberazione dal mondo e dal suo tormento. Egli vede fino a che punto gli appartiene e quanto saldamente è ad esso legato: la sofferenza degli altri, conosciuta, non ha potuto commuoverlo; egli cade vittima della vita e della sofferenza sentita. Rimane da sapere se ciò potrà mai spezzare e superare l'impeto della sua volontà."

Dunque, il malvagio potrebbe smetterla di seminare dolore e morte intorno a sé soltanto se rinunciasse radicalmente e si contrapponesse con tutte le sue forze alla sua debordante, aggressiva, distruttiva volontà di vivere. Questo va quasi da sé, come pensiero, ma Schopenhauer qui ha scritto qualcosa di più: la rinuncia e la negazione della volontà di vivere sono l'unica possibilità per uscire dai tormenti della vita.
Vedremo come svilupperà questo pensiero, come egli arrivi a concordare con l'esito della ricerca compiuta circa duemila anni prima da Buddha, che per la sofferenza insita in ogni vita (fosse anche solo per il fatto stesso di invecchiare, sapersi fragili davanti alle malattie, sapere inevitabile la morte, trovarsi come spesso accade a dover stare accanto a chi non amiamo o essere separati da chi amiamo) aveva proposto l'eliminazione radicale dell'origine di ogni sofferenza, cioè il desiderare, l'attaccamento bramoso alla vita, e in una allenata condizione interna di distacco trovare quindi serenità, compassionevolmente dedicarsi a soccorrere chi ne ha bisogno.
Non credo che Schopenhauer arrivi a condividere quest'ultima parte delle proposte di Buddha, ma sulla necessità del distacco, l'eliminazione della brama di vivere, forse era arrivato a pensarla proprio nello stesso modo.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)




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