domenica 19 maggio 2013

Oupnek'hat


Sono arrivato al libro quarto, parte finale dell'opera di Schopenhauer. Quest'ultima parte ha come titolo "Il mondo come volontà", e come sottotitolo "Affermazione e negazione della volontà di vivere dopo aver raggiunto la conoscenza di sé". Affermazione e negazione della volontà di vivere. Affermazione e negazione della volontà di vivere... Potrebbe bastare. Uno potrebbe scrivere un libro intitolato: AFFERMAZIONE E NEGAZIONE DELLA VOLONTA' DI VIVERE, e fermarsi lì. Ci vuole una vita, per leggere un libro così. Invece, accade spesso che più sono le pagine e meno tempo ci si mette a leggere, dimenticando quello che si legge nello stesso momento in cui si legge. O un momento dopo, al più. Che, del resto, è quello che facciamo spesso. Dimenticare di vedere quello che stiamo guardando già nell'atto stesso di vederlo, pur continuando a guardare.

Abraham Anquetil-Duperron, orientalista francese, nel 1801 pubblicò Oupnek'hat, una traduzione dal persiano al latino di Upanishad, prima traduzione in una lingua europea. Schopenhauer si incontrò con questo libro nella primavera del 1814 e più volte disse che era diventato non solo il suo libro preferito, ma che Oupnek'hat è l'opera più degna di essere letta di tutta la letteratura mondiale. Proprio da una citazione di questa traduzione Schopenhauer fa precedere la parte finale del suo "Mondo":

"Tempore quo cognitio simul advenit, amor e medio supersurrexit. 
Oupnek'hat, studio Anquetil Duperron, vol. II, p. 216"

Gian Carlo Giani traduce così: Nel tempo stesso in cui subentrò la conoscenza, l'amore s'involò dal mondo.

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)


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